Terapia dei tumori vescicali

Le neoplasie vescicali superficiali vengono trattate in modo conservativo. Il trattamento è la resezione endoscopica (TUR) seguita, nei casi a rischio di recidiva e/o progressione, da terapia endovescicale (chemioterapia/immunoterapia): in questo contesto il trattamento viene indicato come "profilassi o terapia adiuvante delle recidive".

Resezione endoscopica della neoplasia vescicale (TURBT)
La resezione transuretrale (TURBT) rappresenta il trattamento standard delle neoplasie vescicali superficiali papillari (stadio Ta-T1). L’intervento può essere condotto in anestesia generale o spinale.
L’intervento consiste nell’asportazione della porzione esofitica evitando di coagulare estesamente la base d’impianto, della quale si dovranno prelevare ulteriori campioni tissutali in cui sia rappresentata la tonaca muscolare sottostante. La porzione esofitica e la base d’impianto devono essere inviate separatamente in modo che il patologo possa determinare la presenza o meno di invasività muscolare.


Chemioterapia endovescicale

La terapia medica delle neoplasie superficiali è prevalentemente un trattamento topico, ottenuto con l’instillazione endovescicale di un antiblastico, a scopo profilattico (adiuvante) nei confronti delle recidive degli uroteliomi dopo intervento di resezione endoscopica, elettrofolgorazione o fotocoagulazione laser o a scopo terapeutico, sia esso radicale o citoriduttivo, nei confronti di uroteliomi superficiali multipli diffusi o del carcinoma in situ.
 
Chemioterapia endovescicale adiuvante
E' oramai assodato che la chemioterapia endovescicale riduce il rischio di recidiva dei tumori vescicali superficiali dopo resezione endoscopica. Il beneficio nei confronti delle recidive non è solo di breve durata ma sembra protrarsi nel tempo.
I farmaci chemioterapici utilizzati sono mitomicina C, la epirubicina.

Mitomicina C (MMC)
Ha un peso molecolare di 329 Dalton e ben si presta per l’uso endovescicale in quanto solo minimamante assorbita. La posologia è di 40mg con una concentrazione usualmente pari a 1 mg/ml. Tra le complicanze si segnala il 5 – 10% di cistite chimica.  

Epirubicina
L’epirubicina (EPI), viene utilizzata a dosi comprese tra 50 e 100 mg con una concentrazione pari a 1-2 mg/ml.
La cistite chimica, di varia intensità, è stata riportata nel 15% circa dei pazienti trattati e costituisce l’effetto collaterale più frequente.  
 

Schemi di somministrazione ed indicazioni
Le linee guida dell’European Association of Urology (EAU) suggeriscono l’utilità di un’instillazione precoce (early treatment) di antiblastico, entro poche ore dalla TURBT nella maggior parte dei pazienti affetti da neoplasia vescicale. L’early treatment presenta il vantaggio teorico di ridurre le recidive attribuibili al possibile impianto di cellule neoplastiche nelle aree lese dalle manovre endoscopiche.   L’inizio della chemioprofilassi endovescicale mediante ripetute instillazioni, settimanali, 15-20 giorni dopo la TURBT consente invece la guarigione della mucosa e limita la tossicità del trattamento. Il classico schema di chemioprofilassi consiste in 8 instillazioni settimanali (ciclo di induzione), a distanza variabile (ma non oltre 2-3 settimane) dalla TURBT, seguite da una instillazione mensile per 6-12 mesi (ciclo di mantenimento).
La precisa identificazione dei principali fattori prognostici istologici, clinici e molecolari, consente di scegliere se e quale trattamento effettuare per ogni singolo paziente.

Nei tumori ad alto rischio è generalmente indicata l’immunoterapia con BCG ove si eccettuino condizioni topiche o sistemiche che ne controindichino l’uso e casi selezionati nei quali si può anche far ricorso alla chemioterapia endovescicale.


Immunoterapia endovescicale

BCG (Bacillo di Calmette e Guérin)

Il BCG viene utilizzato nel trattamento del carcinoma in situ (Tis), nella profilassi delle recidiva dopo resezione endoscopica (TURBT), nella prevenzione della progressione alla malattia infiltrante.

Meccanismo di azione
 Dopo instillazione endovescicale, il BCG aderisce all’urotelio e stimola una risposta immunitaria locale e sistemica: i bacilli vengono "internalizzati" nelle cellule uroteliali esponendo delle glicoproteine di superficie che servono da antigeni per la risposta immunitaria. L’effetto antitumorale è dovuto ad una risposta umorale specifica verso l’antigene tumorale, e ad una risposta cellulomediata tramite rilascio locale di citochine.

Attività
Vari studi hanno dimostrato che il BCG è attivo nei confronti del carcinoma transizionale papillare della vescica e nel carcinoma in situ, evidenziando tassi di risposta superiore al 75%.

Schemi di trattamento
Il trattamento con BCG prevede un’instillazione alla settimana per 6 settimane (ciclo di attacco o induzione) seguito da un ciclo di mantenimento con periodiche instillazioni mensili (ciclo di mantenimento o consolidamento).


Indicazioni terapeutiche
Il trattamento endovescicale con BCG è limitato ai pazienti con tumore vescicale superficiale e multifocale e più precisamente in caso di:
- Carcinoma in situ, primitivo o associato (stadio Tis)
- Carcinoma papillare non infiltrante il connettivo sottouroteliale (stadio Ta, G1-G3)
- Carcinoma papillare infiltrante il connettivo sottouroteliale (stadio T1, G1-G3)
 

Tossicità
Disturbi locali, quali pollachiuria, tenesmo e stranguria, sono abituali nella maggior parte dei pazienti sottoposti ad immunoterapia con BCG. Un terzo dei pazienti riferisce ematuria macroscopica.
Seppur rara, la peggior complicanza secondaria al trattamento con BCG è la sepsi ("BCGite"): febbre elevata e persistente, brividi scuotenti, sintomi/segni di infezione sistemica, ipotensione, shock sono caratteristici della BCGite. La BCGite mette in pericolo la vita del paziente e deve essere prontamente riconosciuta ed energicamente trattata.

La scelta del trattamento

La scelta del trattamento per la via topica deve tenere in considerazione, oltre all’efficacia, anche altri aspetti, alcuni propri dei farmaci (caratteristiche fisico-chimiche, meccanismo d’azione, tossicità, disponibilità e costo), altri propri del paziente (precedenti terapie, patologie associate).

 

CARCINOMA VESCICALE

Il carcinoma vescicale è il tumore più frequente della vescica, e comprende l'insieme delle neoplasie maligne che originano dal tessuto epiteliale dell'organo, chiamato urotelio.

Fattori di rischio:

  • Il fumo di sigaretta è il fattore più importante per lo sviluppo di carcinoma della vescica. Il 70% di tutti i carcinomi della vescica sono da attribuire al potere cancerogeno dei cataboliti del fumo di tabacco presenti nelle urine, specie la Beta2-Naftilamina.
  • Lavoratori esposti alle Amine aromatiche, contenute in vernici e coloranti di anilina, hanno un incrementato rischio di sviluppare questo tumore, in quanto le arilamine, in particolare la Beta2-Naftilamina, possono indurre e promuovere la carcinogenesi nell'epitelio vescicale.
  • La pregressa radioterapia sulla pelvi, per esempio per curare i tumori prostatici o endometri ali o ovarici, può dare predisposizione a sviluppare carcinomi della vescica.

Alcuni soggetti tuttavia sviluppano questo tumore in assenza di questi fattori di rischio. Tali pazienti presentano probabilmente una predisposizione genetica, oppure un’esposizione misconosciuta a un cancerogeno ambientale.

 Istotipi del carcinoma vescicale:

  • Carcinoma uroteliale (a cellule transizionali): costituiscono il 95% di questa casistica, originano dall'epitelio di transizione che costituisce la tonaca mucosa.
  • Carcinoma a cellule squamose: ha una differenziazione simil-epiteliale.
  • Adenocarcinoma: del tutto simili a quelli presenti nel tratto gastrointestinale, originano da residui dell' uraco siti a livello della cupola vescicale e nei tessuti periureterali.
  • Carcinoma a piccole cellule: del tutto simile al carcinoma polmonare a piccole cellule, è estremamente raro (<1%) e connesso con prognosi infausta.
  • Papilloma invertito.
  •  Carcinoma misto.

Storia naturale: il tumore vescicale origina come una lesione sulla parete vescicale, di aspetto papillare o più raramente appiattito o ulcerato. Inizialmente la malattia è superficiale e può diventare multifocale, ovvero tende ad impiantarsi in altri punti della mucosa (probabilmente a causa delle cellule tumorali che esfolia continuamente e che rimangono in sospensione nelle urine) e a creare nuovi “foci” di lesioni papillari. Se non trattata la lesione si approfondisce nel contesto della parete e infiltra prima il chorion (sottomucosa dell’urotelio), poi lo strato muscolare e infine la sierosa (rivestimento esterno della vescica, suo confine con l’adipe attorno all’organo).Una lesione di profondità limitata al chorion presenta una ridotta pericolosità: può essere resecata endoscopicamente e ha possibilità di recidivare. In caso di recidiva, deve essere resecata nuovamente prima che acquisti maggior profondità.

Una lesione che arriva allo strato muscolare aumenta radicalmente la sua pericolosità, in quanto acquista la possibilità di disseminarsi nell’organismo.

Pertanto l’infiltrazione della muscolare impone una terapia più radicale, come la rimozione chirurgica dell’organo. L’invasione linfatica coinvolge in genere i linfonodi iliaci interni, otturatori, iliaci esterni e comuni, pre-sacrali e poi retro peritoneali. Le metastasi a distanza possono coinvolgere potenzialmente tutti i visceri, ma più frequentemente ossa, polmone, fegato, e intestino durante disseminazione peritoneale. L’invasione locale della malattia avanzata può interessare i meati ureterali causando idroureteronefrosi fino a compromettere la funzione di uno o entrambi i reni, può infiltrare la prostata o l’utero, l’uretra e il peritoneo.

La lesione primitiva vescicale può determinare importanti problemi di sanguinamento, causando emorragie urinarie fino all’anemizzazione.

Manifestazioni cliniche: ematuria (sangue nelle urine) è il reperto tipico del tumore vescicale, anche solo un episodio sporadico, che pertanto deve sempre essere approfondito. L’ematuria di origine vescicale in genere riguarda l’intera durata della minzione ed è spesso associata all’emissione di coaguli. Se la neoplasia interessa il trigono vescicale (la parte anteriore del pavimento) può indurre un frequente stimolo minzionale e essere associato a sintomi irritativi vescicali: pollachiuria, urgenza minzionale, nicturia.

Altri sintomi possono essere: disuria e stranguria, dolore al fianco a tipo colica renale. A volte infine il rilievo di papillomi vescicali è incidentale, cioè avviene per caso durante uno studio ecografico dell’addome richiesto per un’altra causa.

Diagnosi: l’inquadramento diagnostico dell’ematuria prevede, dopo aver escluso la comune cistite e la calcolosi urinaria, di prendere in considerazione il tumore uroteliale.

Il primo approccio è l’ecografia dell’apparato urinario.

La vescica è l’organo ottimale per essere studiato con gli ultrasuoni, in quanto organo cavo a pareti sottili pieno di fluido omogeneo simile ad acqua. Al contrario, la vescica vuota è pressoché invisibile all’ecografia, e anche da semipiena la potenza diagnostica della metodica si riduce in modo impressionante. Quindi è necessario presentarsi all’ecografia dell’apparato urinario sempre con la vescica ben piena. In tali condizioni eventuali lesioni aggettanti nel lume vengono identificate facilmente se superano il diametro di 5 mm circa. Alcune immagini aggettanti nel lume possono essere scambiate all’ecografia per papillomi: piega della mucosa, ipertrofia colonnare, coaguli adesi alle pareti, concrezioni calcifiche o di fibrina adese alle pareti.

La citologia urinaria è un’indagine semplice e non invasiva che ricerca cellule tumorali nelle urine del paziente. Devono essere raccolte le prime urine della mattina perché sono le più ricche di cellule esfoliate dall’epitelio durante la notte. Il patologo osserva al microscopio il sedimento di tali campioni e fornirà una risposta negativa (ci sono solo cellule uroteliali mature, cioè normali), positiva (vedo cellule indifferenziate, cioè dall’aspetto tumorale), o dubbia (vedo cellule non del normale urotelio , ma non riesco a interpretarle con sicurezza). Nel comune studio citologico delle urine su 3 campioni, le urine del mattino dei primi 2 giorni devono essere conservate in frigorifero.

La cistoscopia consiste nell’introdurre una fibra ottica rivestita da un contenitore rigido o flessibile attraverso l’uretra del paziente fino ad arrivare in vescica. Essa è indicata se uno dei due esami non invasivi (ecografia e citologia) viene positivo o dubbio, o anche se l’ematuria si ripete e il clinico o il paziente vogliono una maggiore sicurezza. La cistoscopia permette di esplorare accuratamente la mucosa vescicale dall’interno del lume e identificare ogni papilloma o altra lesione sospetta. L’accuratezza diagnostica della cistoscopia supera quella di ecografia e TC riguardo la caratterizzazione di lesioni della parete vescicale.   E’ doveroso sottolineare che, per prima cosa, la cistoscopia nelle donne è una procedura del tutto priva di dolore, a causa della brevità della loro uretra. A contrario nel maschio la lunghezza dell’uretra e l’ostacolo prostatico può creare un po’ di fastidio, ma esso è limitato all’ingresso dello strumento. Inoltre, se il paziente mantiene rilassato il pavimento pelvico e se l’uretra viene  abbondantemente lubrificata prima della procedura, la cistoscopia non determina dolore. L’uso del cistoscopio flessibile, infine, riduce ulteriormente il fastidio legato alla procedura, rendendolo analogo a quello di un cateterismo vescicale.

 

Resezione endoscopica di lesione vescicale (TURBT: trans uretral resection of bladder tumor): è il momento conclusivo della diagnosi e allo stesso tempo la terapia delle lesioni superficiali. La lesione viene resecata con un ansa diatermica, la sua base di impianto viene resecata a sua volta e inviata separatamente così che il patologo potrà confermare la diagnosi istologica (come detto sopra una lesione che appare come un papilloma può essere in realtà un tumore di aggressività molto eterogenea), e refertare l’aggressività e la profondità della lesione.

La TC addome-torace e la Risonanza Magnetica Nucleare sono utili nelle malattie risultate avanzate all’endoscopia, per definire il grado di invasione parietale, l’infiltrazione degli organi viciniori e l’eventuale presenza di metastasi a linfonodi e altri visceri.

Una scintigrafia ossea risulta invece utile per indagare la presenza di metastasi ossee.

Terapia:

Se la lesione è superficiale (infiltrazione massimale fino al Chorion), la terapia si è conclusa con la resezione endoscopica. Si può valutare l’utilità caso per caso di una terapia adiuvante intravescicale con chemioterapici (epirubicina, mitomicina,) o immunoterapici (il BCG: Bacillo di Calmette-Guerin).

Nelle malattie infiltranti la muscolare, è necessaria una terapia più radicale. Il gold standard terapeutico comprende la cistectomia radicale, ovvero l’asportazione di vescica, prostata e vescicole seminali nell’uomo, e di vescica ed utero se interessato dalla malattia nella donna. Nello stesso intervento si asportano i pacchetti linfonodali iliaco-otturatori, e si provvede alla derivazione urinaria.

La derivazione urinaria: rimossa la vescica è necessario vicariare la sua funzione, ovvero convogliare fuori dall’organismo le urine prodotte dai reni e canalizzate dagli ureteri. Esistono molteplici possibilità di derivazione urinaria, le più utilizzate sono:

Ureterocutaneostomia ( UCS ): connettere gli ureteri alla cute, e accumulare le urine in sacchetti adesi all’addome del paziente. Ogni mese è necessario sostituire i cateterini ureterali che mantengono pervi e funzionanti gi ureteri.

Condotto ileale secondo Bricker: connettere gli ureteri a un segmento intestinale ( ileo) che viene isolato dal resto dell’intestino e collegato alla cute. Adeso all’addome c’è un sacchetto di accumulo di urine che deve essere gestito analogamente a quanto detto per l’ureterocutaneostomia. Tuttavia non ci sono cateterini ureterali da sostituire ogni mese e il paziente è più libero.

Neovescica ortotopica: significa isolare un’ansa intestinale dal restante tubo gastroenterico (più lunga rispetto alla Bricker), detubularizzarla e riconfigurarla in modo da creare un contenitore dotato di capacità e alta distensibilità: la neovescica. Tale neoserbatoio viene posizionato nella stessa sede della vescica e ricollegato agli ureteri e all’uretra. In tal modo si mantiene la minzione per uretram, l’immagine corporea e una certa indipendenza dalla gestione sanitaria. Tuttavia, rispetto alla vescica naturale, la neovescica ha 4 difetti principali:

  1. Non è innervata, quindi non avverte il paziente quando è piena, e non si contrae spontaneamente. Pertanto va svuotata passivamente ogni 3 ore.
  2. Produce muco, che deve essere fluidificato con mucolitici.
  3. Riassorbe l’urina (è sempre epitelio intestinale!). Quindi soprattutto i primi tempi è necessario monitorizzare il ph e l’equilibrio idrosalino del paziente.
  4. Se gestita scorrettamente da pazienti non sufficientemente motivati, può scompensarsi e comportare la riduzione della funzione renale.